Comuni della Bergamasca: Ranzanico, Peia, Bianzano

Ranzanico comune | |||||
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Localizzazione | |||||
Stato | ![]() | ||||
Regione | ![]() | ||||
Provincia | ![]() | ||||
Amministrazione | |||||
Sindaco | Freri Renato (lista civica Insieme per Ranzanico) dal 27/05/2014 | ||||
Territorio | |||||
Coordinate | 45°47′N 9°56′E | ||||
Altitudine | 519 m s.l.m. | ||||
Superficie | 7,21 km² | ||||
Abitanti | 1 310[1] (31-12-2010) | ||||
Densità | 181,69 ab./km² | ||||
Frazioni | S. Bernardino, Le Cole, Villaggio, Le Crotte, Il Basso | ||||
Comuni confinanti | Bianzano, Endine Gaiano,Gandino, Monasterolo del Castello, Peia, Spinone al Lago | ||||
Altre informazioni | |||||
Cod. postale | 24060 | ||||
Prefisso | 035 | ||||
Fuso orario | UTC+1 | ||||
CodiceISTAT | 016179 | ||||
Cod. catastale | H177 | ||||
Targa | BG | ||||
Cl. sismica | zona 3 (sismicità bassa) | ||||
Nome abitanti | ranzanicesi | ||||
Patrono | santa Maria Assunta | ||||
Giorno festivo | 15 agosto | ||||
Cartografia | |||||
![]() ![]() Ranzanico | |||||
![]() Posizione del comune di Ranzanico nella provincia di Bergamo |
Ranzanico (Ransaních in dialetto bergamasco[2][3]) è un comune italiano montano e lacustre di 1.312 abitanti della provincia di Bergamo, in Lombardia.
Geografia fisica
Territorio
Il territorio di Ranzanico è posto sulla sponda orografica destra dell’alta Val Cavallina, è esteso per 7,04 km² e si sviluppa a quote comprese tra i 337 m s.l.m., rilevati in corrispondenza della superficie del lago di Endine ed i 1.369 m s.l.m. rappresentati della vetta del Monte Sparavera. Il centro storico, “ol Volt” (l’alto) è situato a mezza costa su di un terrazzo morfologico formatosi per il passaggio del ghiacciaio dell’Adamello durante le diverse fasi di glaciazione, ad una quota superiore ai 500 m s.l.m. mentre “ol Bass” (il basso) si sviluppa lungo la costa del lago di Endine ed è formato da due principali nuclei abitativi: quello della Madrera, costruito sul sedime di un conoide originatosi da una frana che ha coinvolto il centro del terrazzo morenico e quello del Dosso, ora Villaggio Angela Maria, posto sul conoide creato dai detriti provenienti, principalmente, dalla Valle Spineda, posta sul confine con il Comune di Spinone al Lago. Altri insediamenti significativi sono situati in località San Bernardino, con Sant’Anna, posto sull’antica strada che tuttora conduce a Endine Gaiano, uno presso le Cole, poste tra il centro storico ed il Villaggio ed un ultimo alle Crote, poste tra il Villaggio e la località Madrera.
Geomorfologia
Il paese di Ranzanico è posto alle pendici del Monte Quaranta, toponimo ormai dimenticato, ma rimasto nel linguaggio parlato con il solo termine “Mut” (Monte); il versante presenta tre vette principali: il Monte Plér 1.051 m s.l.m., il Monte Pizzetto, 1.208 m s.l.m. ed il Monte Sparavera, posto a 1.369 m s.l.m. La parte superiore ai 950 m s.l.m. È caratterizzata da dolci colli e da depressioni di origine carsica (doline); la fascia sottostante, che giunge a ridosso del terrazzo morfologico, è rappresentata da un declivio con pendenza accentuata, ricoperto da boschi di latifoglie, che si sviluppano su detriti di roccia calcarea. Il terrazzo e la parte che digrada verso il lago, è caratterizzata, invece, da pendenze più dolci che ne hanno consentito la coltivazione, grazie anche alla lavorazione del versante in caratteristici terrazzamenti.
Geologia
La geologia del territorio risulta molto semplice, poiché rappresentata da due sole formazioni rocciose principali: il Calcare di Zorzinoe l’Argillite di Riva di Solto. In alcune zone, si possono notare affioramenti di Porfirite. Il Calcare di Zorzino, che rappresenta la formazione predominante, si può osservare in forma stratificata oppure come falda detritica che, in alcuni punti, si presenta cementata a causa dello scioglimento del calcare da parte dell’acqua meteorologica che, successivamente, viene depositato negli strati sottostanti, aggregando così i vari clasti che compongono il conglomerato.
Il paesaggio
L’interazione tra le differenti componenti climatiche e geologiche, connesse alle millenarie attività antropiche ha portato il territorio di Ranzanico a dotarsi di una diversità paesaggistica davvero invidiabile, garantendo, nel contempo, un elevato grado di biodiversità. Dal basso verso l’alto si annoverano: l’ambiente lacustre, il canneto, residui di boschi igrofili (pioppo bianco e salice), i prati da fienagione, boschi termofili (carpino nero, orniello, roverella e, a quote più elevate, sorbo montano, faggio, acero di monte e frassino maggiore), i macereti, le rupi, i pascoli e le praterie seminaturali.
Fino a pochi decenni or sono, il territorio posto nei pressi degli abitati era caratterizzato da campi coltivati a vite, frutta (soprattuttopesche) e cereali (mais, frumento, orzo), ma, ora, a seguito dell’abbandono e dell’incuria dell’uomo, i terreni un tempo curati stanno subento un lento e inesorabile processo di ricolonizzazione adoperato da specie vegetali quali rovo, clematide, rosa canina,nocciolo, che porteranno ad un successivo imboschimento.
Il paese negli ultimi anni ha conosciuto un notevole sviluppo turistico-residenziale, soprattutto verso il fondo valle, sacrificando gli antichi terrazzamenti produttivi, che caratterizzavano i suoi declivi.
Storia
Il primo documento scritto che riporta il nome del paese, la Charta Manifestationis di Aucunda, è datato 830 d.C. ed è stato redatto nel periodo storico caratterizzato dalla dominazione carolingia di Ludovico il Pio, figlio di Carlomagno: “… brinio quoque illo que abere visus fuit in brançanico cum omnia ad ipso brinio pertinente et portione sua de villade hec omnia sua portione ex integro quod est medietas judicavit in basilica sancti pancratii sita salsa…”
Il territorio era già frequentato in era neolitica; recenti scavi della Soprintendenza per i Beni Archeologici della Lombardia hanno infatti portato alla luce in varie zone del crinale Monte Pizzetto – Monte Sparavera ceramiche e punte di selce riferibili a tale periodo storico; è da attribuirsi a questa civiltà preistorica la formazione dei pascoli di alta quota, mediante l’incendio controllato della vegetazione.
È probabile che i primi insediamenti stabili sul territorio, fossero costituiti dalle palafitte degli Orobi costruite sul perimetro del lago; in territorio di Endine, sono stati ritrovati resti di palafitte e terrecotte risalenti al periodo compreso tra il neolitico e l’Età del Bronzo.
È da attribuirsi al periodo Gallico (IV secolo a.C.) la fondazione di Ranzanico, ad opera dei Galli Cenomani di Elitovio; il toponimo prediale Brançanico, da cui Ranzanico, è di sicura origine gallica. Anche i toponimi Bondo (da “Bunda” = suolo coltivato) e Bosco del Bér (“Bér” = Orso), hanno un’origine celtica.
Nel 49 a.C. i Cenomani ottennero i pieni diritti romani e furono ascritti alla tribù Voturia. Il nome dell’antico insediamento chiamato Rendana, posto nei pressi della Strada Statale n. 42 è di origine romana; pare che l’attuale tracciato della strada ricalchi, in parte, una strada di origine romana (o addirittura preistorica) che, partendo da un incrocio posto nel paese di Carobbio degli Angeli (Quadrivium) conduceva alla Val Borlezza e alla Valle Camonica. Merizzana è un altro toponimo di origine romana che identifica un territorio posto tra le località San Bernardino e S.Anna, lungo l’antica strada, anch’essa di probabile origine preistorica, che collegava gli abitati di Piano di Gaverina, Bianzano, Ranzanico, Endine e Sovere.
Ranzanico è inserito nel Bergomatum Ager e ne seguirà le sorti, nel corso della storia.
Nel 568 d.C, il territorio Bergamasco passò sotto la dominazione dei Longobardi, che nel capoluogo orobico istituirono la sede di un ducato.
Con la conquista del regno longobardo da parte dei Franchi, avvenuta nel 774, Bergamo diviene una Contea: Carlomagno donò ai Monaci di Tours i territori della Val Cavallina e della Val Camonica.
La Charta Manifestationis di Aucunda attesta la presenza, nell’anno 830, di un villaggio di nome Brançanico.
Nel 1161, Federico Barbarossa discende dalla Val Camonica e si dirige verso Bergamo, passando anche attraverso Ranzanico.
Ranzanico diventa “Libero Comune” nel 1263, come riportato nello statuto di Bergamo di quell’anno che elenca tutti i Comuni del territorio assoggettato.
Nel 1428, il territorio bergamasco passo sotto il dominio della Serenissima Repubblica di Venezia, che darà una tranquillità politica a tutto il territorio, sino alla sua decadenza, avvenuta nel 1796, che ha dato origine alla Repubblica Bergamasca, confluita, poi, nella Repubblica Cisalpina. Negli atti di descrizione dei Comuni del 1456 e 1481 a Ranzanico è annesso il territorio di Endine (Ranzanicho cum Hendine); nel 1596 è descritto separato da Endine.
Nel 1798 vengono aggregati a Ranzanico i Comuni di Bianzano e Spinone, fino alla fusione avvenuta nel 1805.
Nel 1809, viene aggregato al Comune di Endine, fino al 1816.
Nel 1815, Bergamo diviene territorio del Regno Lombardo-Veneto.
Nel 1859, grazie a Garibaldi, Bergamo viene liberata dalla dominazione austriaca e, di conseguenza, è annessa al Regno di Sardegna, divenuto, nel 1861, con la conquista del resto del territorio della penisola, Regno d’Italia.
Anche un cittadino di Ranzanico contribuì all’unificazione italiana: si tratta di Giovanni Battista Suardi, classe 1839, arruolatosi come volontario nel corpo dei Cacciatori delle Alpi, combatté valorosamente nella Battaglia di San Martino avvenuta il 24.06.1859.
Nel 1928, Ranzanico viene unito ad Endine e Piangaiano, a formare il Comune di Endine Gaiano, con sede presso il Casotto di Ranzanico; l’unione dura circa un anno, per assumere l’attuale indipendenza.
Il 12 agosto 1944, durante la seconda guerra mondiale, il generale Cadorna si paracadutò, da un aereo alleato, sul territorio del paese, atterrando in prossimità della “Pozza dei Sette Termini”, posta vicino alla vetta del Monte Sparavera, al fine di radunare i Capi Partigiani presenti sul territorio. Fu portato, dai locali, presso l’antico oratorio risalente al XV secolo dedicato a San Bernardino nella frazione omonima, dove tenne un comizio e, successivamente, fu vestito con abiti civili e trasportato con una corriera a Torino. Due lapidiposte rispettivamente presso la pozza e l’Oratorio, ricordano l’evento.
Le origini del nome |
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La Charta Manifestationis di Aucunda, datata 830 d.c., è la prima documentazione che riporta il nome del paese, allora denominato Brançanico. Con lo stesso termine, viene individuato nello statuto cittadino del 1263, mentre, in successivi documenti, il nome viene trascritto senza la –B iniziale e, alternativamente, con alcune variazioni, dettate dalla forma di scrittura dell’epoca, quali Ranzanicho e Ranzanigo. Si riscontra anche un Zanzanico, ma è un probabile errore di trascrizione. L’origine del toponimo Ranzanico è molto dubbia; sono molte le ipotesi che tentano di dare un significato a questo nome, ma nessuna di esse trova una netta conferma. Prendendo come riferimento il primo nome del paese riportato su di un documento, ovvero Brançanico, si può affermare che esso sia di origine Celtica (Brançanicum); ciò è dimostrato dal fatto che, nella lingua dell’epoca, i suffissi dei toponimi che ora terminano in -ico, -ica, -anico, -anica e simili, stavano ad indicare, nella radice del nome, il “proprietario” del terreno o una caratteristica particolare del posto. Seguendo questa regola, alcuni studiosi hanno ipotizzato che il nome del paese abbia potuto trarre origine dal nome proprio di persona Branzo o Branzano, da cui Branzanico, ma secondo altri esperti, in lingua celtica, non esistono tali nomi. Secondo altri, il termine Branzanicum potrebbe derivare da una corruzione del nome Blandianicum, termine aggettivo di Blandianum, ovvero del probabile nome antico del confinante paese di Bianzano (Blandianum), ad indicare, quindi, una dipendenza territoriale da quest’ultimo. L’ipotesi pare avere poca sostenibilità, in quanto il nome Brançanico è stato coniato in epoca celtica, mentre quello di Bianzano, pare sia di origine romana, ovvero del periodo storico successivo. Un’ulteriore ipotesi vuole che il nome di Ranzanico tragga origine da un nome gentilizio romano come Rantius con suffisso –anicus o Rantianus, con suffisso –icus, ma ciò non ha nessuna conferma. È probabile, invece, che il nome del fondatore del villaggio fosse tale Brancus, un nome molto diffuso all’epoca, tanto che Tito Livio racconta ne “La storia di Roma” di un re degli Allobrogi chiamato proprio Brancus. Nell’alto medioevo il nome Brancus si è evoluto in Branzo. Brancus sarebbe un nome votivo di Bran, Dio celtico della guerra. |
Monumenti e luoghi d’interesse
Architetture militari
Risale al XIV secolo la costruzione della torre in pietra che sovrasta l’attuale piazza del paese e che, probabilmente, servì al controllo dei traffici sull’antica via di comunicazione che, da Bergamo (Via Bianzana) conduceva a Bianzano (passando sulla sponda orografica sinistra della bassa Valle Seriana e della Valle Rossa) e da qui continuava attraversando Ranzanico ed Endine Gaiano, per arrivare sino a Sovere, nella Valle Borlezza e alla successiva Valle Camonica. La Torre fu costruita dalla nobile famiglia dei Fabii e, per questo, fu chiamata Turrim de Fabiis, la Torre dei Fabii; nel 1520 la famiglia risulta proprietaria di una “casa cortivata, turrita, cilterata, porticata e ricoperta di piode” (Casa dotata di corte, torre, silter – stanza con soffitto a volta, utilizzata per stagionare prodotti agricoli come salumi e formaggi – portico e ricoperta di pietre.
È probabile che la torre facesse parte di una struttura fortificata ben più complessa, come ad esempio un fortilizio o un castello e della quale si possono osservare le tracce a lato di via Silvio Pellico, dove, accanto alla torre, sorge un edificio caratterizzato da mura con pietre bugnate e da un portale in pietra in stile gotico.
La presenza di un castellano a Ranzanico, documentata nel XV secolo, suffraga questa ipotesi.
Una credenza popolare vuole che il borgo originario fosse posizionato tra l’attuale abitato e quello di San Bernardino, ma che scomparve a causa di un imponente movimento franoso; i toponimi “Càp del Castèl” (Campo del Castello) e “La Tor” (La Torre) che individuano un terreno posto nei pressi della paleofrana, sopra la quale sarebbe sorto il paese, connesso al ritrovamento di fondamenta di edifici antichi, durante scavi fatti nella stessa zona, potrebbero confermare questa ipotesi. Il castello potrebbe essere stato costruito nel X secolo a difesa dell’invasione degli Ungari e distrutto nel1452 su ordine della Repubblica di Venezia che, una volta conquistato il territorio bergamasco, fece atterrare le strutture militari.
Architetture religiose
La chiesa parrocchiale, eretta nel 1476 ma riedificata nel 1786, è dedicata a santa Maria Assunta e presenta quadri diPalma il Giovane, di Enea Salmeggia, di Antonio Cifrondi e Vincenzo Angelo Orelli.
Risale, invece, alla seconda metà del XV secolo la costruzione dell’oratorio di San Bernardino. La sua edificazione fu finanziata da una ricca famiglia del paese, i Gardoni, che, in Ranzanico, possedevano molte proprietà. È documentato che il monaco senese fece visita ai paesi di Gandino e di Lovere ed è perciò molto probabile che, per raggiungere i due paesi, transitò anche per Ranzanico. Ciò spiegherebbe la fervida devozione che gli abitanti hanno per questo santo.
Monumenti ai caduti
Del 1926 è la cappella dedicata ai caduti per la patria in via don Pezzotta, la strada che attraversa il paese in direzione di Bianzano.
Altre strutture religiose sono la cappella degli Alpini sita fuori dal paese e la cappella dedicata ai defunti in prossimità del cimitero.
Pesante è stato il tributo di sangue dei ranzanicesi durante le due guerre mondiali i cui caduti e dispersi sono ricordati, oltre che in questo monumento che si erge di fronte al municipio, anche nella cappella a loro dedicata sulla via principale del paese, e in due lapidi affisse nel muro sotto il portico del municipio.
Tradizioni e folclore
Scötöm
I Ranzanicesi vengono definiti come Gosatì o Patatì, a ricordo della malattia chiamata localmente gozzo e frequente negli abitanti dei paesi di montagna, come dimostrato dai tipici burattini bergamaschi “Il Giupì” e “La Margì”. A volte, gli abitanti vengono chiamati anche “i Calivrù de Ransaních”, (i calabroni di Ranzanico) ad indicare un temperamento tutt’altro che docile.
Leggenda del pane nero
Per scoprire quali tra gli abitanti di Endine Gaiano e Ranzanico fossero i più malvagi, venne posto sul confine dei due paesi un palo che sorreggeva un pane bianco: la parte del pane che sarebbe annerita per prima avrebbe assegnato il verdetto. Purtroppo il pane divenne nero verso il paese di Ranzanico ed il Signore, per penitenza, mandò una grande pestilenza alla quale nessuno sopravvisse. Pare che tre frati assistettero i malati e, una volta morti tutti gli abitanti, tentarono di abbandonare il paese, ma giunti un centinaio di metri fuori dall’abitato, caddero in terra senza vita. I morti giacciono tuttora sotto terra attendendo il giorno del completamento della maledizione, quando si risvegleranno dai morti e si vendicheranno sugli abitanti di Endine, il giorno in cui l’intera valle subirà l’ira dei Morti viventi. A loro venne dedicata la cappelletta dei “morcc de l’ivvra” (i morti di lebbra), sostituita, poi, dalla cappella realizzata a suffragio dei caduti della grande guerra. Secondo questa leggenda, il nome del paese deriverebbe dalla fusione delle parole Razza Iniqua (popolo malvagio).
È curioso sapere che nel libro di Carlo Traini “Leggende Bergamasche”, viene indicato che “il fatto (la pestilenza) avvenne quando il paese era più popolato e si estendeva fino a comprendere nell’abitato anche la chiesetta di San Bernardino e la cappella di San Fermo, poste rispettivamente a 500 e 800 metri di distanza dal centro”.
Curiosità
Il paese veniva soprannominato come “Giardino della Val Cavallina” o “Venezia di Bergamo” per l’estrema cura dei terreni e dei terrazzamenti.
Proverbi
“L’acqua de Ransaních la ta fà mör de sít” (L’acqua di Ranzanico ti fa morire di sete) Lo dicevano nelle calde estati dei tempi passati i contadini di Gaverina Terme e di Casazza, che vedevano arrivare dalla Valle Camonica i tanto attesi temporali rinfrescanti, ma che purtroppo, puntualmente, concludevano il loro beneficio proprio a Ranzanico, lasciandoli letteralmente “a bocca asciutta”.
Società
Evoluzione demografica
Abitanti censiti[4]
Infrastrutture e trasporti
Fra il 1908 e il 1931 la frazione Casette di Ranzanico ospitò una fermata lungo la tranvia della val Cavallina[5].
http://www.comune.ranzanico.bg.it/pages/home.asp sito istituzionale
Peia comune | |||||
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Vista di Peia dal monte Beio | |||||
Localizzazione | |||||
Stato | ![]() | ||||
Regione | ![]() | ||||
Provincia | ![]() | ||||
Amministrazione | |||||
Sindaco | Silvia Bosio (lista civica Cittadini attivi Peia) dal 26/05/2014 | ||||
Territorio | |||||
Coordinate | 45°48′N 9°54′E | ||||
Altitudine | 570 m s.l.m. | ||||
Superficie | 4,48 km² | ||||
Abitanti | 1 857[1] (31-12-2010) | ||||
Densità | 414,51 ab./km² | ||||
Frazioni | Nessuna | ||||
Comuni confinanti | Bianzano, Gandino, Leffe,Ranzanico | ||||
Altre informazioni | |||||
Cod. postale | 24020 | ||||
Prefisso | 035 | ||||
Fuso orario | UTC+1 | ||||
CodiceISTAT | 016161 | ||||
Cod. catastale | G418 | ||||
Targa | BG | ||||
Cl. sismica | zona 3 (sismicità bassa) | ||||
Nome abitanti | peiesi | ||||
Patrono | sant’Antonio di Padova | ||||
Giorno festivo | 13 giugno | ||||
Cartografia | |||||
![]() ![]() Peia | |||||
![]() Posizione del comune di Peia nella provincia di Bergamo |
Peia (Pèa in dialetto bergamasco[2]) è un comune italiano di 1.761 abitanti della provincia di Bergamo, in Lombardia. Situato in Val Gandino, alla sinistra orografica del fiume Serio, dista circa 24 chilometri a nord-est dal capoluogo orobico ed è compreso nella Comunità montana della Valle Seriana.
Territorio
Il comune, situato nella porzione territoriale Sud Est della Val Gandino, si sviluppa dai circa 490 m s.l.m. della zona di fondovalle, fino ai 1.206 del monte Pizzetto. Può quindi essere classificato come comune di media montagna, nel quale si contraddistinguono sia profondi solchi alluvionali che terrazzamenti fluviali.
I confini amministrativi sono scanditi, a Nord-Ovest (in direzione del fondovalle della Val Gandino) dal torrente Romna, che delimita con Gandino; il limite territoriale con il capoluogo della valle prosegue quindi verso Nord-Est, risalendo le pendici della costa del monte Pizzetto, per proseguire verso Est lungo il crinale che va dal suddetto monte fino al monte Pler (1.030 m s.l.m.), spartiacque con la val Cavallina e con il comune diRanzanico prima e di Bianzano poi, per giungere infine nei pressi del monte Crocione (998 m s.l.m.) A questo punto il confine ridiscende verso il fondovalle, chiudendo il perimetro comunale ad Ovest, seguendo nella parte più a monte l’andamento orografico della piccola valle delle Tre Fontane, condivisa con l’annesso comune di Leffe, con cui di fatto si è creata una soluzione di continuità abitativa nella zona del fondovalle solcato dalla Romna.
La val Vegia, percorsa dal torrente Rino, con l’abitato sulla destra
Il centro abitato, situato ad un’altezza media di circa 570 m s.l.m., si sviluppa sui declivi del monte Pizzetto ed è contraddistinto dalla presenza di ben quattordici contrade: Peia Bassa, Ca’ Basi, Ca’ Bertocchi, Ca’ Bettera, Ca’ Biadoni, Ca’ Bosio, Ca’ Brignoli, Ca’ Fragia, Ca’ Marino, Ca’ Orazio, Ca’ Predali, Ca’ Rottigni, Ca’ Zenucchi e Cima Peia. Questi nuclei, che prendono il loro nome dalle famiglie che storicamente le abitarono (in dialetto bergamasco Cà significa appunto casa), in seguito all’espansione edilizia avvenuta negli ultimi decenni del XX secolo in molti casi risultano ormai essere fusi tra loro.
Per ciò che concerne l’idrografia, il corso d’acqua con portata maggiore è la Romna, che solca gran parte della val Gandino e scorre nella parte più bassa del territorio comunale, quel fondovalle condiviso con Gandino a monte del quale un tempo si sviluppava la zona degli opifici. Altrettanto importante è il Rino, torrente che nasce tra le valli Boala e Vecchia (detta anche Vegia) e che, dopo aver ricevuto altri piccoli rivoli, tra cui quello della piccola val Suprina e quello proveniente dalla valle delle Tre Fonti (detta anche val di Trì Fonc), composti dalle acque in eccesso provenienti dai colli circostanti, entra in territorio di Leffe, gettandosi nella Romna a Sud-Ovest del territorio leffese. Degne di nota sono anche le numerose sorgenti presenti sul territorio, tra le quali si segnalano per importanza la fonte Scarpaeta e la Pozza del Lino, in località Poiana.
La viabilità del paese è molto semplice e fa riferimento alla S.P. 43. Questa prende vita dal vicino comune di Leffe da cui raggiunge il centro abitato di Peia, partendo dal fondovalle, toccando gran parte delle contrade del paese e terminando nella parte alta dello stesso.
Cenni storici
Dalla preistoria ai Romani
Nonostante non vi siano reperti che accertino la presenza umana nel territorio comunale nelle ere pristoriche, è tuttavia probabile che queste zone furono frequentate in un periodo compreso tra il neolitico e l’antica età del bronzo, considerati i numerosi ritrovamenti effettuati nei paesi vicini, nonché la conformazione naturale del territorio stesso che garantiva riparo da incursioni e calamità.
Si trattava in ogni caso di insediamenti sporadici, tanto che il livello di antropizzazione rimase quasi nullo per parecchi secoli: i primi stanziamenti fissi risalirebbero invece al VI secolo a.C., quando in quest’area si stabilirono gli Orobi, popolazione di origine ligure dedita alla pastorizia, a cui si aggiunsero ed integrarono, a partire dal V secolo a.C., le popolazioni di ceppo celtico, tra cui i Galli Cenomani. Segni della loro presenza sono tangibili nel nome del torrente Rino, il quale deriva da Rei, che in lingua gallica significava scorrere.
Tuttavia la prima vera e propria opera di urbanizzazione fu opera dei Romani, che conquistarono la zona a partire dal I secolo d.C.. Pur rimanendo estranei alle vicende della valle Gandino, i nuovi conquistatori inviarono nella zona un ingente numero di schiavi (i cosiddettiDamnati ad metallam), impiegandoli nelle miniere di ferro della vicina val del Riso. Questi, dopo un periodo pari ad undici anni di schiavitù (oppure una volta esaurita la pena), venivano liberati e potevano quindi diventare proprietari di un appezzamento di terra che avrebbero provveduto loro stessi a coltivare e difendere dalle incursioni delle popolazioni vicine. Quei primi abitanti, che lentamente si integrarono alle popolazioni celtiche (anche se sovente erano loro stessi appartenenti a quella stirpe), venivano chiamati pileati per via del cappello che indossavano durante la cerimonia di liberazione dallo stato di schiavitù. Il borgo quindi, grazie a questo appellativo, cominciò ad essere identificato come “Pilia”, ovvero paese abitato dai pileati.
Il Medioevo
La contrada Cittadella, di origine medievale
Al termine della dominazione romana vi fu un periodo di decadenza ed abbandono del centro abitato, con la popolazione che sovente si ritrovò costretta a cercare riparo sulle alture circostanti al fine di difendersi dalle scorrerie perpetrate dalle orde barbariche. La situazione ritornò a stabilizzarsi con l’arrivo dei Longobardi, popolazione che a partire dal VI secolo si radicò notevolmente sul territorio, influenzando a lungo gli usi degli abitanti: si consideri infatti che il diritto longobardo rimase “de facto” attivo nelle consuetudini della popolazione fino alla sua abolizione, verificatasi soltanto verso il termine del XV secolo.
Con il successivo arrivo dei Franchi, avvenuto sul finire dell’VIII secolo, il territorio venne sottoposto al sistema feudale, con il paese che inizialmente venne assegnato, al pari di gran parte della valle, ai monaci di Tours per poi essere infeudato al Vescovo di Bergamo grazie a permute, donazioni ed investiture.
Con il passare degli anni al potere vescovile si affiancò quello di alcune famiglie della zona (Ficieni, Adelasi e Castelli), che riuscirono ad ottenere sempre più spazio, passando dal ruolo di grandi proprietari a quelli di feudatari de facto. Si trattava per lo più di casati residenti nel capoluogo di Gandino, di cui Peia continuava ad essere una frazione, così come indicato negli statuti della città di Bergamo del XIV e XV secolo.
Tuttavia tra la popolazione cresceva sempre più il desiderio di emanciparsi dal potere vescovile e feudale, al fine di poter decidere in autonomia la gestione del territorio. A tal riguardo una data fondamentale per lo sviluppo economico e sociale dell’intera zona fu senza dubbio il al 6 luglio 1233, data in cui Arpinello Ficieni, dopo aver ereditato dal padre il feudo della val Gandino, decise di cedere in perpetuo tutti i suoi diritti feudali al comune di Gandino, rappresentato dall’Arengo, ovvero un’assemblea composta dalle famiglie più in vista di ognuna delle contrade che componevano il territorio comunale.
Questa indipendenza favorì ulteriormente lo sviluppo della produzione e dei commerci della lana qui prodotta. Ed ognuna delle contrade sviluppò una differente peculiarità nell’ambito della produzione dei panni lana: Peia ebbe la supremazia nell’allevamento di pecore, la cui lana era così pregiata e richiesta sul mercato che, per descriverne il tipo di tessuto qui prodotto, venne coniato il nome di lana peina(ovvero lana di Peia).
I numeri raccontano che lo sviluppo fu impetuoso: nel 1369, come indicato nei dati del comune di Gandino, nel censuario di Peia risiedevano 44 famiglie per un totale di 235 persone (numero nel quale però non venivano conteggiati gli infanti). Nel volgere di poco più di un secolo, precisamente nel 1491, la popolazione era triplicata, raggiungendo la cifra di 121 nuclei familiari e 674 residenti. Lo stesso valeva anche per i capi di bestiame (ovini e bovini sopra tutti) che in trent’anni raddoppiarono di numero.
Tuttavia a livello sociale cominciarono a verificarsi attriti tra gli abitanti, divisi tra guelfi e ghibellini. Contrariamente al resto del territorio comunale dove si raggiunsero livelli di recrudescenza inauditi, nella contrada di Peia non si verificarono episodi di rilievo, anche se alcuni abitanti del borgo parteciparono a rappresaglie e spedizioni punitive organizzate dai gandinesi contro i paesi vicini. Furono comunque erette alcune fortificazioni nella zona alta dell’abitato, tra le quali la cosiddetta Cittadella, della quale ancora oggi esistono dei ruderi nell’omonima contrada, che ne testimoniano l’esistenza.
Questa elevata litigiosità tra compaesani provocò la fine dell’età comunale: nel 1331 Bergamo e tutta la sua provincia decise di consegnarsi al Duca di Lussemburgo e Boemia, un sovrano ritenuto neutrale. La sua assenza dalla vita politica locale però portò i Visconti, signori della città di Milano, a conquistare la città stessa e le relative valli. La val Gandino optò per una totale sottomissione nei confronti dei nuovi dominatori, ricavandone un trattamento di favore che garantì privilegi fiscali ed amministrativi.
La Serenissima
I decenni successivi videro continui cambi di dominazione, con la Repubblica di Venezia che si alternò più volte ai Visconti stessi. La situazione si stabilizzò soltanto a partire nella seconda metà del XV secolo, quando la Serenissima ebbe definitivamente la meglio. I veneti inserirono Gandino e la sua contrada Peia nella Quadra della val Seriana di Mezzo.
All’interno delle istituzioni amministrative gandinesi, Peia forniva 16 degli 80 membri dell’arengo, nonché 2 rappresentanti sui 12 che componevano il consiglio di Credenza. Non erano invece previsti abitanti di Peia tra gli anziani che componevano il consiglio della valle, organo sovracomunale che raggruppava i paesi della val Gandino e che aveva la facoltà di far rispettare i voleri della Serenissima.
Una volta stabilizzatasi la situazione politica, la val Gandino visse il periodo più florido della sua storia, favorito anche da sgravi fiscali (concessi già in epoca viscontea), da una diminuzione della pressione fiscale e da maggiori autonomie concesse dalla Serenissima. A partire dalla seconda metà del XVI secolo fino alla fine del successivo, il mercato della lana toccò l’apice dello splendore, con numerose famiglie gandinesi (tra cui anche i Biadoni ed i Rottigni, originari di Peia) che posero le basi dei propri commerci in differenti zone della penisola italiana e dell’Europa, con il nome della lana di Peia che varcò i confini locali.
A tal proposito, per favorire le esportazioni, venne decisa la costruzione di una strada che dal centro abitato di Peia raggiungesse Ranzanico, posto in val Cavallina, da cui poi era possibile abbreviare notevolmente il percorso dei mercanti verso Nord, accedendo allaval Camonica e quindi ai mercati del Nord Europa. Questa mulattiera, edificata in luogo di un piccolo sentiero già esistente conosciuto come via delle ripe de Ranzanico, passava dalla Forcella, un piccolo valico posto tra i monti Pler e Pizzetto.
L’antica contrada Cà Bosio, con la chiesa di santa Lucia
La sua costruzione presentò però alcuni problemi, dal momento che nel 1464, pochi mesi dopo aver ottenuto le autorizzazioni richieste ai Rettori di Bergamo, i lavori vennero bloccati dall’opposizione dei comuni di Ranzanico ed Endine, per nulla intenzionati a permettere il passaggio della strada sui loro territori. Per redimere la questione intervenne anche il condottiero Bartolomeo Colleoni, al quale la mulattiera sarebbe stata utile per agevolare un eventuale spostamento delle proprie truppe, ma senza esito. La questione passò quindi ai Savi di Terraferma’, organo della Serenissima, che fissò un indennizzo per i comuni “ribelli” e sancì che tutte le spese fossero a carico del comune di Gandino.
La strada, conosciuta con il nome di “mulattiera della Forcella” o “via della Lana” e con una larghezza media di due metri, venne completata al termine del 1466.
Nei decenni successivi vi furono alcuni violenti scossoni alla tranquillità degli abitanti, dati dalle epidemie di peste che ebbero effetti devastanti. La prima, nel 1467, fu provocata da alcuni soldati al ritorno da operazioni militari; la seconda, nel 1529, causò la morte di decine di persone, mentre la terza tra il 1629 ed il 1630, tristemente nota anche per essere narrata daAlessandro Manzoni, fu la più disastrosa. In quest’ultimo caso morirono ben 551 persone su 1236 (pari a circa il 44% del totale), tanto che gli abitanti cercarono di evitare la diffusione del morbo ponendo dei posti di blocco all’ingresso del paese e mettendo in quarantena i mercanti di ritorno dai traffici commerciali.
Ma contestualmente nelle contrade di Peia, che ormai aveva superato i mille abitanti, cominciò ad acutizzarsi il sentimento di autonomia nei confronti di Gandino. Fu così che nel1531 la popolazione fece ufficiale richiesta presso la Serenissima di potersi ergere a comune. La vertenza si protrasse a lungo per via della ferma opposizione di Gandino, ma il 1º giugno 1542 venne firmato il decreto che sancì la separazione tra le due realtà. Per evitare future diatribe, fu deciso che entrambe mantenessero indivisi i diritti di pascolo nella zona che andava dal monte Farno fino al Pler.
Una ventina di anni più tardi, precisamente nel 1561, gli abitanti di Peia riuscirono a spezzare l’ultimo vincolo che ancorali li legava a Gandino, ergendosi a parrocchia autonoma, intitolata a sant’Antonio da Padova.
Già nel 1566 sono documentati i primi statuti di Peia che, approvati dai rettori della città di Bergamo, indicavano l’ordinamento amministrativo che regolava il comune: un’assemblea composta dai capifamiglia aveva la facoltà di nominare tre persone, una di ognuna delle tre principali contrade (Cà Zenucchi con Cà Bosio, Cà Bettera e Cà Rottigni), le quali avrebbero poi eletto per ogni nucleo due Credenderi, ovvero Consiglieri della Comunità.
Nella seconda metà del XVIII secolo il paese fu invece colpito dalla crisi della produzione dei panni di lana, dovuta all’importazione di prodotti esteri a prezzo più basso, che mise in ginocchio la pastorizia ed il commercio della materia prima.
Dai Napoleone fino ai giorni nostri[
Nel 1789, in seguito al trattato di Campoformio, l’intera provincia fu assoggettata alla napoleonica Repubblica Cispadana. Successivamente, nel 1809, nell’ambito di un’ampia opera di riorganizzazione delle realtà comunali volta a favorire i grossi centri a scapito di quelli più piccoli, l’istituzione francese aggregò nuovamente Peia al comune di Gandino, al pari dei vicini centri di Barzizza, Cazzano Sant’Andrea e Leffe. Nel 1816, in seguito al passaggio della zona all’austriaco Regno Lombardo-Veneto, il comune riacquisì la propria autonomia amministrativa.
Tuttavia la situazione economica degli abitanti andò via via peggiorando sempre più, complice la crisi che investì il commercio della lana, causato da una forte perdita di competitività data dal livello medio-basso del prodotto. Si affermò l’emigrazione, con conseguente calo della popolazione, che passò dai 1310 abitanti del 1776 ai 1095 del 1853, numero che nei decenni successivi si stabilizzò, crescendo in modo consistente solo all’inizio del XX secolo, dato che nel 1901 vennero censiti 1410 residenti, impegnati per lo più nell’agricoltura e nell’allevamento.
Nel 1934 gli abitanti di Peia, unitamente a quelli di Leffe, avanzarono la proposta di unione tra i due comuni. Nonostante l’approvazione dei relativi podestà, la domanda non ebbe seguito.
La vocazione agricola del borgo mutò radicalmente a partire dagli anni 1960 quando, sull’onda del boom economico che si verificò nei vicini centri di Leffe e Gandino, sorsero numerose attività industriali ed artigianali legate per lo più all’industria tessile manifatturiera. Infatti, come testimoniato dai numeri forniti dal censimento del 1981, tre persone su quattro risultavano occupate in tali attività, mentre l’agricoltura veniva relegata ad un misero 3%.
Anche la struttura del borgo ne risentì, dato che fu investita da un notevole sviluppo edilizio, che in alcuni casi portò all’unificazione delle differenti contrade fino ad allora separate, creando una soluzione di continuità abitativa anche con il vicino borgo di Leffe.
Monumenti e luoghi d’interesse
In ambito religioso, la struttura di maggiore importanza è la chiesa parrocchiale, dedicata a sant’Antonio da Padova. La costruzione dell’edificio, inizialmente intitolato a sant’Antimo, prese il via nel 1429 e fu terminato nel corso del XV secolo. Edificato in posizione dominante sulla valle con orientamento dell’altare ad Est, venne sottoposto ad un primo ampliamento nel 1738, quando vi fu aggiunto il coro a pianta ellittica, e ad un’ulteriore ingrandimento nel 1904 quando, su progetto di Virginio Muzio, furono aggiunte le navate minori.
La facciata esterna, mossa da linee settecentesche, presenta quattro nicchie entro le quali vi sono le statue, intagliate da Emilio Bettinelli nel 1906), dei santi Antonio, Giuseppe, Nicola e Lucia. All’interno è arricchita da stucchi e dorature, da quattro medaglie raffiguranti scene della vita del santo patrono, nonché da tele e dipinti tra i quali meritano menzione laSantissima Trinità di Gian Paolo Cavagna (dipinta nel 1627), la Crocifissione di Gian Paolo Pandolfi (1612), laDeposizione di Francesco Zucco (1626) e l’Estasi di sant’Antonio di Ponziano Loverini. Attigua alla parrocchiale, con cui condivide il sagrato, si trova anche la piccola chiesetta Beata Vergine Immacolata.
Notevole importanza storica, nonostante l’attuale stato di avanzato degrado, ricopre la chiesa di santa Elisabetta, costruita tra il 1517 ed il 1520 in luogo di un precedente edificio di culto. A fianco di essa passava infatti la via della lana, utilizzata tra mercanti e viandanti: di conseguenza la struttura era dotata di stanze nelle quali venivano ospitati e rifocillati i viaggiatori. Di stile romanico, al proprio interno custodiva affreschi e dipinti di pregio, andati poi perduti o sottratti furtivamente.
Sempre in campo religioso, è presente anche la Chiesa della Beata Vergine delle Grazie, sita nella contrada Cà Rottigni e risalente alla fine del XVI secolo, quando fu edificata al posto di un’edicola probabilmente durante l’epidemia nota come Peste di San Carlo. All’interno si possono ammirare un dipinto raffigurante la Madonna con Gesù Bambino e san Giovanni, opera cinquecentesca del Callegari, ed un affresco di Pietro Servalli.
Le altre chiese sussidiarie presenti sul territorio comunale sono la secentesca chiesa di santa Lucia e sant’Appollonia (ma comunemente conosciuta solo con il nome della prima), situata nella contrada Cà Bosio e che presenta linee semplici; la chiesa di sant’Urbano nella contrada Peia Bassa, ed infine la chiesetta di san Rocco, in contrada Cima Peia ma in posizione isolata rispetto al centro abitato, edificata al termine dell’ondata di peste del 1630 e restaurata nel 1796.
Percorsi naturalistici
Sul territorio comunale sono presenti una grande quantità di itinerari, adatti ad ogni tipo di utenza, grazie ai quali è possibile stare a contatto con la natura.
Tra i principali vi è il sentiero, contrassegnato con il segnavia del C.A.I. numero 547 che prende il via dal fondovalle nella zona Nord del territorio, nei pressi della zona degli opifici di Gandino. Salendo raggiunge la contrada di Cima Peia, da cui poi diventa una comoda mulattiera che, inerpicandosi sulle pendici del monte Pizzetto, si mantiene a monte dei prati di Cap e giunge fino alla località Monticelli (1.116 m s.l.m.) dove interseca il sentiero numero 513. Quest’ultimo, che proviene dalla valle Rossa, si mantiene in quota lungo lo spartiacque con la val Cavallina, ovvero il crinale che delimita il confine comunale, salendo fino alla pozza dei Sette Termini, da cui è possibile poi raggiungere il rifugio storico Malga Lunga e la zona del monte Farno.
Di grande importanza a livello storico è inoltre l’antica via della lana, strada medievale utilizzata dai mercanti, che nell’anno 2002 è stata al centro di un intervento di manutenzione e recupero. L’opera, cofinanziata dal comune di Peia e dalla comunità montana della val Seriana, riguarda il tratto che va dalla chiesa di santa Elisabetta fino alla contrada Cà Biadoni. Nella parte più a monte, nei pressi della Forcella, si trova la pozza del Lino antica sorgente anch’essa recuperata (grazie al Fondo Europeo Agricolo), dove un tempo avvenivano gli incontri e gli scambi tra le comunità delle due vallate. Poco distante si trova la sommità del monte Pizzetto, nei pressi della quale merita una visita la statua della Madonna della Vita, nota anche come Madonna del Pizzo, con posizione dominante sulla val Gandino.
Folklore e ricorrenze religiose
- Festa di sant’Antonio abate (17 gennaio) con benedizione di veicoli ed animali e l’offerta della cera
- Triduo dei morti (Prima domenica di quaresima)
- Festa patronale di sant’Antonio da Padova (13 giugno)
- Festa della Madonna delle Grazie (5 agosto), con processione all’imbrunire del giorno
- Festa delle contrade (periodo estivo)
- Sagra del cinghiale (mese di settembre)
Società
Evoluzione demografica
Abitanti censiti[3]
Etnie e minoranze straniere
Gli stranieri residenti nel comune sono 42, ovvero una percentuale pari al 2.2% della popolazione, uno dei valori più bassi della zona. Di seguito sono riportati i gruppi più consistenti[4]:
- Marocco, 15
- Serbia, 9
- Romania, 4
- Ucraina, 3
- Senegal, 3
- Bolivia, 3
- Brasile, 3
- Grecia, 1
- Ecuador, 1
Amministrazione
Periodo | Primo cittadino | Partito | Carica | Note | |
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23 aprile 1995 | 13 giugno 1999 | Giuseppe Bertasa | lista civica | Sindaco | |
13 giugno 1999 | 13 giugno 2004 | Santo Marinoni | lista civica | Sindaco | |
14 giugno 2004 | 7 giugno 2009 | Santo Marinoni | lista civica | Sindaco | |
8 giugno 2009 | 25 maggio 2014 | Giuseppe Bosio | lista civica “Per Peia” | Sindaco | |
26 maggio 2014 | in carica | Silvia Bosio | lista civica Cittadini attivi Peia | Sindaco |
Simboli
Blasonatura stemma:
- D’oro al cinghiale di nero fermo e difeso d’argento. Ornamenti esteriori da Comune. Decreto del Presidente della Repubblica in data 9 ottobre 1981.
Persone legate a Peia
- Fausto Radici (1953-2002), sciatore ed imprenditore
- Giovanni Francesco Fasciotti (1750 circa-1815), cantante lirico
http://www.comune.peia.bg.it/hh/index.php sito istituzionale
Bianzano comune | |||||
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Localizzazione | |||||
Stato | ![]() | ||||
Regione | ![]() | ||||
Provincia | ![]() | ||||
Amministrazione | |||||
Sindaco | Marilena Vitali (lista civicaDodici opportunità per Bianzano) dall’08/06/2009 | ||||
Territorio | |||||
Coordinate | 45°46′26″N 9°55′10″E | ||||
Altitudine | 600 m s.l.m. | ||||
Superficie | 6,67 km² | ||||
Abitanti | 604[1] (31-12-2010) | ||||
Densità | 90,55 ab./km² | ||||
Comuni confinanti | Casazza, Cene, Gaverina Terme, Leffe, Peia,Ranzanico, Spinone al Lago | ||||
Altre informazioni | |||||
Cod. postale | 24060 | ||||
Prefisso | 035 | ||||
Fuso orario | UTC+1 | ||||
CodiceISTAT | 016026 | ||||
Cod. catastale | A846 | ||||
Targa | BG | ||||
Cl. sismica | zona 3 (sismicità bassa) | ||||
Nome abitanti | bianzanesi | ||||
Patrono | san Rocco | ||||
Giorno festivo | 16 agosto | ||||
Cartografia | |||||
![]() ![]() Bianzano | |||||
![]() Posizione del comune di Bianzano nella provincia di Bergamo | |||||
Sito istituzionale |
Bianzano (Biansà in dialetto bergamasco[2][3]) è un comune italiano della provincia di Bergamo, in Lombardia. È situato a circa seicento metri di quota, poco lontano dal lago di Endine, al quale è collegato dalla Strada Provinciale SP40 e da alcune antiche mulattiere. Sorge ai piedi dei monti Pler e Croce, al confine fra le valli Cavallina e Seriana.
Geografia fisica[
Territorio
Storia
Il centro storico conserva per lo più la struttura dei secoli scorsi, con le case costituite da ciottoli ed elementi di muratura tipici delle fortificazioni medievali.
Proprio nel Medioevo l’abitato cominciò a svilupparsi e ad assumere le sembianze attuali, grazie all’impulso dato dalla famiglia Suardi, che in quei tempi possedeva gran parte della valle Cavallina, situazione rimasta immutata fino all’arrivo della Repubblica di Venezia. Con la Serenissima cominciò una nuova epoca, nella quale il borgo, a causa della perdita di potere della nobile famiglia, venne relegato ad un ruolo minore nel contesto della vallata.
Vi furono anche alcuni periodi in cui perse l’autonomia amministrativa, venendo aggregato prima a Ranzanico (al termine del XVIII secolo) e poi a Monasterolo (inizio del XIX secolo). Venne ricostituito in comune con l’avvento del Regno Lombardo-Veneto, per essere nuovamente accorpato a Spinone nell’anno 1927. Soltanto l’11 aprile 1955 si ricostituì definitivamente in comune indipendente.
Analogamente ai comuni limitrofi, il paese negli ultimi anni ha conosciuto un notevole sviluppo turistico-residenziale, concentrato soprattutto nella zona sovrastante il centro storico e nelle vicinanze del comune di Gaverina Terme.
Simboli
Lo stemma e il gonfalone sono stati autorizzati con D.P.R. 10 novembre 2004.
Blasonatura stemma:
- Semipartito troncato: il primo, di azzurro, alla ruota di mulino, di nero, di otto raggi e di sedici pale; il secondo, di rosso, alla conchiglia di argento, attraversante il bordone del pellegrino, posto in palo, di nero; il terzo, d’oro, al castello di rosso, mattonato di nero, munito di una sola torre centrale, merlato alla guelfa, la torre merlata di tre, il fastigio di otto, quattro e quattro, esso castello finestrato di tre di nero, una finestra nella torre, due nel corpo del castello, chiuso dello stesso, fondato sulla campagna diminuita, di verde. Ornamenti esteriori da Comune.
Blasonatura gonfalone:
- Drappo di bianco con la bordatura di rosso.
Monumenti e luoghi d’interesse
Bianzano, data la sua ridotta popolazione, non possiede frazioni propriamente dette. Esistono tuttavia diversi luoghi di un certo interesse naturalistico. Molti di essi si segnalano per il fatto di portare nomi non ancora italianizzati. Tra di essi, vi sono: le localitàValle Rossa (al confine con il comune di Cene), Torè e Dos Martì, nonché il piccolo stagno, alimentato da una sorgiva, noto comeValöcc. Nei pressi di quest’ultimo si trovano dei balzi rocciosi noti come Scalù del Diaol (letteralmente, “Scaloni del Diavolo”).

Il Santuario dell’Assunta
Architetture religiose
Presso il santuario dell’Assunta sono da segnalare un Cristo ligneo (comunemente noto come ol Signorù) e l’altare del Fantoni, mentre nella chiesa parrocchiale spiccano i dipinti di Domenico Carpinoni e di Palma il Giovane (San Francesco riceve le stigmate).
Architetture militari
Il castello Suardi, attualmente di proprietà della Famiglia Faglia, presenta una struttura quadrata, una doppia cinta muraria (della quale rimangono molti resti) e una possente torre. L’intera costruzione è realizzata in pietra squadrata (bugnata nella parte inferiore).
All’interno, vanta alcuni affreschi di scuola toscana, fra cui i putti e le quattro virtù cardinali rappresentati nell’atrio (lo si può visitare in giorni extra).
Società
Evoluzione demografica
Abitanti censiti[4]
Galleria d’immagini
La Chiesa parrocchiale con il campanile ottocentesco
Castello di Bianzano
Da Wikipedia, l’enciclopedia libera.Castello di Bianzano Il castello Suardi visto da estUbicazione Stato attuale Italia
Regione Lombardia
Città Bianzano Coordinate 45°46′22″N 9°55′08″E Informazioni generali Termine costruzione XIII-XIV sec. Condizione attuale restaurato Proprietario attuale Famiglia Faglia Visitabile Sì, previa prenotazione presso il Comune di Bianzano Il castello Suardi a Bianzano è un castello situato nell’omonima località in Val Cavallina, in Provincia di Bergamo.
Storia
La data di costruzione del castello dovrebbe risalire all’anno 1233[1], come riportato su una pietra posta sulla spalla destra del portale del cortile. Tale indicazione è tuttavia messa in discussione dagli storici, che ancora oggi dubitano sia delle origini del castello che della funzione a cui esso era adibito, a causa della mancanza di documenti ufficiali. Questo anche a causa del fatto che recentemente sono stati portati alla luce resti di muratura e parte del basamento di una torre in una zona poco distante. La presenza di questa fortificazione tenderebbe quindi a posticipare la costruzione dell’attuale castello che, edificato all’estremità del borgo in quella che allora poteva essere la prima zona edificabile, evidenzierebbe una data di costruzione successiva a quella del borgo stesso.
I dati in possesso indicano che il maniero risultava essere esistente già dal XIV secolo, di proprietà della famiglia Suardi. A quel periodo risale il primo atto riferito al castello, riguardante un evento dalla grandissima importanza: nel 1367 Giovanni, appartenente alla famiglia Suardi, sposò Bernarda Visconti figlia di Bernabò, reggente del Ducato di Milano, ricevendo in dono il castello stesso. Ancora oggi tale evento è al centro di una rievocazione storica, che si svolge il primo fine settimana di agosto, che coinvolge l’intero borgo ed attira numerosi spettatori.
Nessun episodio di rilievo si verificò fino all’arrivo della Repubblica di Venezia la quale, al fine di porre fine alle lotte tra guelfi e ghibellini, ordinò la distruzione di tutte le fortificazioni. La famiglia Suardi, al fine di evitare la demolizione del castello, decise di eliminare le merlature e di ricoprire l’intera struttura con un tetto, rendendola così dimora signorile. Successivamente l’edificio subì altri rimaneggiamenti: vennero ampliate le cantine, operazione rivelatasi poi sfortunata, visto che causò il parziale cedimento a valle della struttura.
Nemmeno riguardo l’originale destinazione dell’edificio è possibile dare risposte certe: probabilmente era utilizzato sia con funzioni difensive che residenziali, ma anche come deposito di alimenti.
Stando ad alcuni studi dell’attuale proprietario, l’architetto Vittorio Faglia, è possibile ipotizzarne l’origine templare: a prova di questo, vi sarebbe il particolare simbolismo utilizzato nell’edificio, oltre che i resti di una merlatura guelfa (mentre i conti Suardi appartenevano alla fazione opposta, i ghibellini). Questi avrebbero utilizzato infatti la struttura al fine di presidiare la zona, al centro di numerosi traffici economici, ma anche per accogliere pellegrini e viandanti.
Struttura
Vista da nord
Collocato in posizione dominante sul versante occidentale della Valle Cavallina, da cui era possibile controllare sia la strada proveniente dalla Val Seriana tramite la Valle Rossa che quella che collegava Bergamo con il Lago d’Iseo e la Val Camonica, offre un’ottima vista sulLago di Endine e sul Monte Torrezzo.
Inserito ai limiti del borgo medievale di Bianzano, possiede una struttura a pianta quadrata, con le diagonali di essa rivolte in direzione dei punti cardinali. Esternamente è protetta da due cinte murarie che formano altrettanti spalti posti su due livelli differenti: la prima ha i lati paralleli a quelli del castello stesso, con piccole torri (solo parzialmente conservate) poste al centro di ognuno di essi, mentre la seconda, di forma irregolare, presenta una torretta ad ognuno dei quattro angoli.
L’ingresso è costituito da un’alta torre, alla base della quale è presente un ciclo di affreschi databili alla metà del XIV secolo, che proseguono anche nell’atrio interno. In questa piccola corte, dotata di un ballatoio su tre dei quattro lati, si trovano altri dipinti rappresentanti le quattro virtù, alcuni putti intenti al gioco e alla danza, nonché alcuni motivi ornamentali costituiti da rombi bianchi e neri, simbolo della famiglia dei Visconti. L’edificio inoltre possiede numerose aperture a bifore composte da archi ogivali differenti tra loro.
http://www.comune.bianzano.bg.it/pages/home.asp sito istituzionale
http://www.cortedeisuardo.com/
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